Manca la prova che l’istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro avrebbe potuto evitare oltre 4 mila morti nella Bergamasca ed era “irragionevole” che venisse attivata immediatamente per via dei diritti costituzionali da “valutare e contemperare”.
E poi il nesso di causalità tra decessi e l’assenza di una misura per isolare i due comuni è “una mera ipotesi teorica sfornita del ben che minimo riscontro” così come è impensabile ritenere che, benché del 2006, il piano pandemico fosse adeguato per affrontare la situazione di emergenza che era “di assoluta novità” e che di giorno in giorno mutava presentando un quadro sempre più allarmante.
È questo il senso della decisione del Tribunale dei Ministri che, accogliendo la richiesta della Procura di Brescia, ha archiviato le posizioni dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della salute Roberto Speranza, tra i 19 indagati nell’inchiesta per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo dei pm di Bergamo sulla gestione della prima ondata di Covid in Val Seriana.
“Accolgo positivamente la decisione di archiviare con formula amplissima la mia posizione – ha commentato l’ex capo del Governo e ore leader del M5S -. Ovviamente mi conforta personalmente, ma rimane sempre il dato di una grande perdita per la comunità collettiva, tantissimi morti, tantissima sofferenza, tantissimo dolore”.
“Molto sollevato” anche Speranza, attuale segretario di Articolo Uno che ha sottolineato come “l’Italia, pur tra mille difficoltà e colpita per prima in Occidente, ha dimostrato durante l’emergenza Covid di essere un grande Paese. Personalmente ho fatto davvero tutto il possibile in quei giorni terribili per difendere la salute degli italiani. Oggi è emersa la verità”.
I familiari delle vittime invece hanno voluto esprimere la loro amarezza: “uno schiaffo in faccia a noi e all’Italia intera – affermano delusi e amareggiati dall’Associazione #Sereniesempreuniti – l’archiviazione è un vilipendio alla memoria dei nostri familiari”.
In 29 pagine i giudici bresciani demoliscono la parte principale dell’indagine dei pm di Bergamo i quali, nel ritenere i due politici tra i responsabili di tante morti, secondo l’accusa, causate anche dalla mancata istituzione della zona rossa nella zona più martoriata d’Italia a partire dal 26 febbraio 2020 e la mancata applicazione del piano pandemico sebbene mai aggiornato, si sono avvalsi di una maxi consulenza firmata da Andrea Crisanti, microbiologo e docente universitario, salito alla ribalta durante l’emergenza Coronavirus, e ora deputato del Pd.
Al di là della giurisprudenza con cui è stato stabilito che “non è configurabile il reato di epidemia colposa in forma omissiva in quanto la norma in questione abbraccia la sola condotta di chi per dolo o per colpa diffonde germi patogeni”, il collegio ha ritenuto che “il fatto non sussiste”.
“Va innanzitutto detto – è scritto nell’ordinanza – che agli atti manca del tutto la prova che le 57 persone indicate nell’imputazione, che sarebbero decedute per la mancata estensione della zona rossa, rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero state se fosse stata attivata”.
Inoltre, si legge nell’ordinanza, “non risulta che il Presidente del Consiglio Conte, prima del 2 marzo 2020, fosse stato informato della situazione dei comuni di Nembro e Alzano Lombardo” ed è una “ipotesi irragionevole” sostenere che “avrebbe dovuto decidere, circa l’istituzione della zona rossa” il giorno stesso in quanto era necessario “valutare e contemperare i diritti costituzionali coinvolti” come quelli al al lavoro, di circolazione, di culto e allo studio, oltre che i problemi di natura economica e occupazionale.
Riguardo all’allora ministro della salute i giudici hanno sottolineato che non solo gli era “preclusa qualsiasi ingerenza” nell’attività degli organi burocratici ai quali spettava la funzione di amministrazione attiva, ma “lungi dal rimanere inerte, ha adottato le misure sanitarie propostegli dagli esperti di cui si è avvalso, che peraltro, a livello europeo, sono state tra le più restrittive”.
Insomma le presunte “omissioni e i ritardi” contestati dai pm di Bergamo non esistono e semmai “riguardano attività amministrative, distinte dalle funzioni ministeriali di indirizzo politico”.
Ora al Tribunale dei Ministri toccherà valutare le posizioni degli altri indagati in concorso con Conte e Speranza, tra cui il presidente della Lombardia Attilio Fontana e l’ex assessore Giulio Galle. (ANSA)
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