Le discussioni fra condòmini sono più o meno “fisiologiche” in un complesso abitativo, ma in caso si trascenda, possono trasformarsi in reato penale.
Un fenomeno che inizia a preoccupare per la sua estensione e che la Cassazione ha cercato di arginare con la sentenza 38766/23 pubblicata il 26 settembre 2023, dalla quinta sezione penale che ha esplicitamente definito lo “stalking condominiale” come reato, configurandolo anche con solo due atti vessatori nei confronti della vittima, reiterati in un breve arco di tempo.
Diventa definitiva la condanna inflitta al persecutore anche ai fini civili. Inutile per la difesa dell’imputato contestare l’abitualità della condotta, che viene in rilievo anche se gli atti persecutori si manifestano in una sequenza di tempo ristretta, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione sia la causa effettiva di una degli effetti considerati dalla norma incriminatrice: lo stato d’ansia e di paura ingenerato nella vittima e il timore per l’incolumità propria o di prossimi congiunti.
Insomma, la condotta è persecutoria se ha una natura afflittiva al punto da suscitare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica.
Non convincono le conclusioni depositate dal consulente della difesa secondo cui la grafia del biglietto “incriminato” sarebbe «vezzosa» e dunque riconducibile a una donna: l’errore di fondo è attribuire a due mani diverse i termini di paragone utilizzati per verificare la paternità del pizzino, mentre entrambi i «saggi comparativi» sono stati vergati dall’imputato, uno davanti al consulente del pm, l’altro di fronte all’impiegato comunale che all’epoca gli ha rilasciato la carta d’identità.
E rispetto al primo, il consulente dell’accusa ha spiegato il tentativo dell’uomo di mascherare la propria grafia. Nessun dubbio che lo stalking condominiale sconvolga le abitudini di vita della coppia: il marito carabiniere è costretto a rinunciare a incarichi meglio retribuiti per stare più in tempo in casa con la moglie, indotta a sua volta a cambiare turni al lavoro con disagi in azienda che fanno scattare il licenziamento.
L’eventuale prova dei video girati dalla donna all’insaputa dello stalker sul balcone o sul pianerottolo non rendono per ciò solo meno credibile il racconto e le accuse della persona offesa.
Ad avviso di Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, in caso si fosse vittima di stalking in ambito condominiale, le azioni da intraprendere per far cessare le molestie possono essere le seguenti: tentare una mediazione, invitando il molestatore a smetterla tramite raccomandata a/r, in cui si metterà in copia anche l’amministratore di condominio; rivolgersi alla questura, presentando un ammonimento presso la Polizia; qualora il questore ritenesse valida la domanda, potrà convocare il vicino stalker e ammonirlo verbalmente, informandolo di quello che potrebbe succedere se dovesse continuare con il suo comportamento; extrema ratio, la querela. In questo caso sono però necessari testimoni, registrazioni e tutto quello che può dimostrare che gli episodi non sono isolati, ma continuativi.
Sarà poi il giudice a stabilire quali misure adottare: potrebbe ad esempio intimare al vicino molesto di non avvicinarsi oltre 500 metri dalla vittima, se non, addirittura, di cambiare casa.
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