Poliziotto penitenziario leccese morto sul lavoro, ‘Silenzio istituzionale’

“Il Presidente della Repubblica ha levato la voce contro le morti sul lavoro, definendole uno scandalo inaccettabile per un Paese civile. Un grido che riecheggia in un contesto dove la sicurezza dei lavoratori è messa in discussione. Ma perché il silenzio delle istituzioni quando il lavoratore è un poliziotto penitenziario ammazzato dallo Stato, come sentenziato dal tribunale di Lecce, in una decisione senza precedenti in Europa?”. Lo scrive in una nota Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe, il sindacato della Polizia Penitenziaria.

“Salvatore Monza, poliziotto penitenziario di Lecce, è morto di tumore ai polmoni a soli 43 anni, lasciando dietro di sé una famiglia distrutta. Con oltre due decenni di servizio nelle carceri di Milano, Taranto e Lecce, Salvatore ha trascorso ore immerso nel fumo passivo, una condanna imposta dallo Stato senza alcuna tutela per la sua salute”, sottolinea Pilagatti.

“La sua storia, contrassegnata da sofferenza e ingiustizia, è emblematica di un sistema che si mostra cieco di fronte alle tragedie dei suoi servitori. Se da un lato, le morti sul lavoro nel settore privato scatenano indagini e inchieste, dall’altro, quando si tratta di dirigenti dello Stato, il velo del silenzio sembra cadere”, aggiunge il segretario del Sappe.

“La battaglia della sua famiglia per ottenere giustizia ha portato alla prima sentenza del genere in Europa: il Tribunale di Lecce ha riconosciuto il ministro della giustizia come corresponsabile della morte di Salvatore, condannandolo al risarcimento della famiglia con un milione di euro. Ma la verità che emerge dagli atti è agghiacciante: se Salvatore non fosse stato esposto al fumo passivo, avrebbe potuto vivere fino all’età di 80 anni. Questo dovrebbe far scattare l’allarme nelle alte cariche dello Stato, ma il silenzio persiste, ostacolando ogni forma di giustizia e riconoscimento per il sacrificio di chi ha servito fedelmente il Paese”, continua Federico Pilagatti.

“La storia di Salvatore è stata inviata alle più alte cariche dello Stato, ma a distanza di anni non ha ricevuto alcuna risposta. Per loro e per i media, la vita di un poliziotto penitenziario sembra non valere nulla. Eppure, il suo sacrificio grida giustizia e rispetto, in un sistema che continua a voltare le spalle ai suoi eroi silenziosi”, conclude Pilagatti.

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