Dopo una estenuante attesa finalmente la copia della statua di Sant’Oronzo è tornata a casa e fervono i preparativi a Lecce per il suo ricollocamento sulla colonna. Il 13 aprile rimarrà nella memoria dei salentini un ricordo indelebile intimamente legato ad una grande festa di comunità.
Una festa non sola profana, ma anche sacra tant’è vero che l’arcivescovo metropolita, mons. Michele Seccia, ha richiamato con un suo messaggio: «A non cadere nella tentazione del vuoto folklore che spesso degenera in superstizione, allontanando uomini e donne dal vero senso della devozione e dalla vere ragioni della fede». E di superstizioni che aleggiano intorno al culto di Sant’Oronzo e alla sua statua ce ne sono sin troppe.
Ieri, in via del tutto eccezionale, è stato esposto in cattedrale, così come fu fatto in tempo di pandemia, il mezzobusto argenteo del santo custodito nel Museo Diocesano di Arte Sacra ed è stata accesa la lampada votiva, quale segno di ringraziamento e di devozione.
Secondo la tradizione da lì sgorgava l’oleum divinae gratiae che assicurava guarigioni miracolose. Il mezzobusto argenteo del santo protettore intronizzato, fu realizzato alla fine del Seicento per rendere grazie per lo scampato pericolo della peste che dopo il 1656 si manifestò nuovamente tra il 1690 e il 1691 nel Regno di Napoli, in modo particolare, in Terra di Bari.
Allora l’argentiere leccese Domenico Gigante, trapiantato a Napoli, scelse di scolpire un’opera d’arte rappresentante il protovescovo di Lecce, mitrato e benedicente, con pastorale ed evangelario, e di donarlo alla sua città natale come ex voto.
Lo splendido simulacro giunse nel capoluogo salentino il 1 giugno 1691 e dal monastero degli Olivetani fu traslato la sera del 3 giungo in cattedrale scortato da migliaia di fedeli, che, recando in mano torce, piangevano di gioia. Ancora una volta Lecce, per intercessione di Sant’Oronzo, era stata preservata dal morbo della peste e ci fu una gran festa in piazza come quella che vivremo domani alla luce del sole di un giorno nuovo.
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