Mercoledì 18 ottobre (ore 20) le porte dell’Arcivescovado di Taranto si aprono appositamente al pubblico per un concerto del Giovanni Paisiello Festival diretto da Lorenzo Mattei e organizzato dagli Amici della Musica “Arcangelo Speranza” con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Puglia, Provincia e Comune di Taranto e Conservatorio Paisiello.
Nel Salone dei Vescovi suoneranno un repertorio del Sei-Settecento particolarmente raffinato due specialisti del clavicembalo che fanno coppia nell’arte e nella vita, Aline Zylberajch e Martin Gester, figure di spicco sulla scena internazionale quando si parla di musica antica. Il recital include musiche appositamente trascritte per due clavicembali di Antonio Vivaldi (Concerti in la minore e re maggiore dell’Estro armonico op. 3 n. 8), Francois Couperin (La Paranasse ou L’apothèose de Corelli e Troisième Concert Royal in La), George Philipp Telemann (Concerto in si minore TWV42 h1) e Luigi Boccherini (Fandango dal Quintetto in re maggiore n. 4 G448).
I grandi compositori del barocco maturo aspiravano al raggiungimento di un gusto capace di riunire gli stili dei tre paesi egemoni sul piano musicale, l’Italia, la Francia e il mondo austro-tedesco. E il concerto del Giovanni Paisiello Festival offre all’ascolto trascrizioni e adattamenti di opere di Vivaldi, Couperin e Telemann inizialmente pensate per organico orchestrale con un sostanziale cambio di abito timbrico legato alla tavolozza espressiva del clavicembalo. Chiude l’antologia il famoso fandango (il nome si riferisce a una danza spagnola popolare e seduttiva, poi stilizzata nel grande repertorio della musica strumentale barocca) di Luigi Boccherini con il quale ci si avvicina all’epoca di Paisiello.
Come Boccherini anche il compositore tarantino non sottovalutò l’importanza della produzione strumentale e contribuì al percorso che vide la progressiva affermazione della tastiera (clavicembalo, fortepiano e poi pianoforte) come strumento principe accanto al violino.
Non solo il melodramma poteva muovere gli affetti degli ascoltatori e divenire «scuola di sentimenti». Anche la musica strumentale conobbe una propria retorica che nel pieno Settecento diventò matura a tal punto da configurarsi come arte del porgere un discorso complesso a mo’ di gustosa conversazione sonora. E come nella buona società, un sistema ferreo di regole andava appreso per tenere il comportamento più adeguato ai vari contesti sociali, così nella musica di questi decenni contava l’etichetta del «buon gusto», da realizzare con precisi schemi musicali che i compositori nel giro di qualche decennio codificarono e diffusero nelle loro mansioni didattiche con il metodo di partimenti e solfeggi. Modelli di stile, diremmo oggi, ossequiati e imitati ma anche via via rinnovati dai compositori, come Paisiello e Mozart, che nelle maglie di regole troppo anguste ci stavano davvero stretti.
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