Non chiamateli sepolcri

Dopo la messa in Coena Domini del giovedì santo cala il silenzio nelle chiese in attesa della struggente Passione del venerdì santo. Gli altari vengono spogliati e le statue coperte da un panno nero allo scopo di ricreare un’atmosfera di lutto. Le campane vengono legate. È il momento di fare visita con profondo rispetto agli altari della reposizione. Chiamati comunemente, ma erroneamente, sepolcri in realtà essi non rappresentano la sepoltura del Signore ma l’urna, detta repositorio, dove viene custodito il pane eucaristico da distribuire nella messa vespertina del venerdì santo quando con l’ostensione e l’adorazione del legno della croce vengono dismessi. Ogni chiesa espone il suo altare e sin da età barocca nella diocesi di Lecce è immancabile il tradizionale giro degli altari della reposizione di chiesa in chiesa rigorosamente in numero dispari. In genere essi vengono adornati con drappi, pani, composizioni floreali, lumini e candele, ma l’elemento caratteristico è quello dei piatti di germogli di chicchi di grano o legumi seminati nelle case dei devoti, sin dalla seconda settimana di quaresima, su uno strato di cotone imbevuto d’acqua e fatti germogliare al buio per ottenere germogli chiari. Il rituale di allestire gli altari nelle chiese e di riporre il grano germogliato, ornato di nastrini e fiori primaverili o spesso di garofani rossi che simboleggiano il sangue di Gesù, è una tradizione cristiana orientale bizantina che si diffuse nei secoli passati nel meridione d’Italia. I chicchi di grano, germogliati al buio e destinati a morire per poi rinascere come spighe, simboleggiano il passaggio dalla tenebre della morte alla luce della resurrezione del Cristo via di salvezza.

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