“Prima di poter definire un piano industriale per l’Ilva di Taranto, ci sono due nodi strutturali a livello europeo che devono essere risolti: l’assegnazione delle quote gratuite di emissione di CO2 e le percentuali di idrogeno necessarie per il funzionamento degli impianti DRI. Questi ostacoli, se non affrontati, rendono impraticabile qualsiasi investimento sull’Ilva di Taranto”.
Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e special advisor di Confindustria su Autonomia strategica europea, Piano Mattei e competitività, ha espresso queste preoccupazioni durante un incontro a Confindustria Genova su “Nuove infrastrutture per nuovi servizi di mobilità”. L’incontro è avvenuto dopo l’annuncio del ministro Urso riguardo un quarto potenziale investitore per Acciaierie d’Italia, proveniente da un paese del G7, oltre alle due imprese indiane e agli ucraini di Metinvest.
Gozzi ha spiegato che il primo nodo cruciale è la conferma della regola secondo cui, entro il 2030, gli altiforni europei non avranno più quote gratuite di emissione di CO2. Questa condizione significherebbe la fine degli altiforni a Taranto e renderebbe inutile un investimento di 650 milioni di euro per la ristrutturazione dell’altoforno 5, visto che si rischierebbe di chiudere l’impianto poco dopo la conclusione dei lavori.
Il secondo nodo riguarda gli impianti DRI, essenziali per la produzione di acciaio liquido con forni elettrici. Gozzi ha citato una lettera di Margrethe Vestager, Commissario europeo per la concorrenza, che impone all’Italia di utilizzare una percentuale di idrogeno del 40% nei primi tre anni e del 70% dal quarto anno in poi, una richiesta che appare irrealistica data l’attuale capacità produttiva di idrogeno in Europa.
Senza la risoluzione di questi problemi, secondo Gozzi, il piano industriale per l’Ilva di Taranto non può procedere.
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