Insensibile, scellerata, riprovevole. Sceglietelo voi l’aggettivo utile per definire la scelta di far scendere in campo il Lecce appena 48 ore dopo un lutto che ha messo sotto shock non un intero spogliatoio, non un intero gruppo squadra, ma un intero territorio. Bastano probabilmente le infinite dimostrazioni di affetto da parte di terzi (sconosciuti compresi) verso Graziano Fiorita, per comprendere quanto recuperare la partita contro l’Atalanta sarebbe davvero dovuta essere l’ultima delle preoccupazioni per i massimi esponenti del panorama calcistico nazionale.
Evidentemente, questo discorso non vale per la Lega Serie A, secondo la quale (come direbbe il leggendario Freddie Mercury) “the show must go on”. Ma di che show stiamo parlando esattamente? Si può davvero discutere di calcio giocato davanti ad una tragedia di tali dimensioni? Il valore di partita può davvero prevaricare l’umore di uomini costretti a scendere in campo appena due giorni dopo aver perso un amico? Già, un amico. È questo che Graziano Fiorita era per tutti i calciatori del Lecce, attuali e non. Gli stessi calciatori che probabilmente si aspettavano di incontrarlo a colazione prima di mettersi a lavoro, quel giovedì mattina. In quell’hotel di Coccaglio, dal quale Graziano non è uscito vivo.
Servirebbero giorni, tanti giorni, per far sì che le lacrime di dolore versate da ogni tesserato giallorosso si trasformino in voglia di mantenere la categoria anche (o forse soprattutto) per lui. I vertici del massimo campionato nazionale la pensano però in modo differente. La regolarità del campionato, a loro avviso, ha maggior valenza. Eppure né l’Atalanta e né il Lecce sono impegnate in competizioni europee. Del resto, se così fosse (specie per i giallorossi) staremmo probabilmente parlando di altro. Ed invece ci ritroviamo a commentare il più che mai banale, ma attuale, concetto dei due pesi e delle due misure. Brutto dirlo, ma è davvero tanto difficile immaginare lo stesso trattamento riservato ad una big. Specie ricordando quando accaduto di altrettanto tragico alla Fiorentina, con la scomparsa di Joe Barone di circa un anno fa.
Il Lecce, nella persona di Saverio Sticchi Damiani, ha fatto sapere, senza ombra di equivoco, di non essere minimamente disposto a scendere in campo domenica sera. La squadra del resto è rientrata in Puglia solo giovedì, e per ovvie ragioni non ci sono sedute di allenamento in programma per la giornata di venerdì. Indossare gli scarpini e mettersi a lavoro significherebbe prendersi in giro. Professionisti sì, ma prima uomini. E scendere in campo a Bergamo domenica sera significherebbe mandare questi uomini in pasto all’avversario, in condizioni atletiche più che mai discutibili, e con una tenuta mentale estremamente distante dal focus che meriterebbe una partita così importante
L’Italia è quel paese in cui spesso vengono prese delle decisioni sbagliate, magari a cuor leggero, e con eccessiva leggerezza. Per fare un passo indietro però c’è sempre tempo. Lasciate che a vincere sia il buonsenso, permettete a Graziano la possibilità l’abbraccio che i suoi ragazzi vorrebbero trasmettergli, senza il patema del dover ripartire per Bergamo da lì a brevissimo. Il Lecce non sta facendo altro che pretendere il giusto rispetto nei confronti di chi, di quei calciatori, si è preso maniacalmente cura giorno dopo giorno. Svolgendo meticolosamente il proprio mestiere, letteralmente fino alle proprie ultime ore di vita.
Ciò che è certo, è che se salvezza sarà, sarà tutta per Graziano. Ma se davvero il Lecce sarà costretto a scendere in campo domenica, allora che non si parli di regolarità. Che non si parli di equilibrio. Che non si parli di calendari fitti, di contemporaneità, di diritti tv o di poco tempo utile per decidere. Lasciate che a vincere sia il buonsenso, per il bene dello sport e di ciò che il calcio dovrebbe rappresentare.
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