La combinazione di più biomarcatori potrebbe permettere di individuare le persone a maggior rischio di sviluppare demenza tra coloro che soffrono di un disturbo cognitivo lieve (MCI). È quanto emerge dai primi risultati del progetto Interceptor, promosso dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), presentati oggi in un convegno organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dal Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e dall’IRCCS San Raffaele.
Lo studio, avviato nel 2016 in vista dell’approvazione di nuovi farmaci contro l’amiloide, ha analizzato 351 pazienti con MCI arruolati in 19 centri clinici italiani. Otto parametri, tra cui esami cognitivi, test genetici e neuroimaging, sono stati combinati per creare un modello predittivo in grado di identificare i soggetti più a rischio di progressione a demenza. Durante il follow-up, il modello ha classificato correttamente l’81,6% dei pazienti, con 104 casi di conversione a demenza, di cui 85 a malattia di Alzheimer.
Il coordinatore del progetto, Prof. Paolo Maria Rossini, ha sottolineato l’importanza di questi risultati per la diagnosi precoce e la personalizzazione delle terapie: “Le nuove terapie funzionano meglio se somministrate in fase iniziale, ma presentano effetti collaterali rilevanti. È cruciale selezionare i pazienti con il miglior rapporto rischio-beneficio.”
L’ISS ha ribadito il valore del progetto per la sanità pubblica, mentre il Prof. Camillo Marra ha evidenziato il ruolo centrale delle valutazioni neuropsicologiche nel modello predittivo. Il ricercatore Nicola Vanacore ha aggiunto che solo l’integrazione tra dati clinici e biomarcatori permette di superare l’80% di accuratezza, soglia adeguata per programmi di screening e prevenzione.
In caso di approvazione di nuovi farmaci da parte di AIFA, il team di Interceptor punta a una fase 2.0 per validare il modello su un campione più ampio, monitorare l’efficacia delle terapie e affinare le strategie di intervento precoce.
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