Omicidio Bovino, Colamonico condannato a 26 anni e 6 mesi

 

BARI – La Corte di Assise di Appello di Bari ha condannato alla pena di 26 anni e 6 mesi di reclusione il 42enne Antonio Colamonico, imputato per l’omicidio della ex Bruna Bovino, estetista 29enne italo-brasiliana uccisa a Mola di Bari il 12 dicembre 2013. Tra le motivazioni il fatto che la vittima “aveva subito un’aggressione nel corso della quale aveva lottato prima di subire quei brutali colpi al volto” e “quando fu atterrata e sovrastata dall’assassino, non potè più muovere le braccia e difendersi dai colpi che le venivano inferti, riusciva però a muovere il capo e le mani, assai verosimilmente in maniera convulsa, nell’istintivo e disperato, ma altresì vano, tentativo di sottrarsi ai colpi che il suo assassino continuava a infliggere”. In primo grado, nel luglio 2015, Colamonico era stato condannato a 25 anni di reclusione. In appello, nel novembre 2018, era stato assolto e il 20 settembre scorso, dopo l’annullamento con rinvio da parte della Cassazione, un nuovo collegio della Corte di Assise di Appello ha ribaltato nuovamente la sentenza dichiarandolo colpevole di omicidio volontario e incendio doloso. I giudici, nel negare le attenuanti generiche, evidenziano che “l’imputato non ha mai manifestato segni di resipiscenza e ha reiteratamente fatto dichiarazioni mendaci”. Nelle motivazioni si analizza l’esito degli accertamenti tecnici, come quelli sulle lesioni sulle mani di Colamonico, “neppure lontanamente compatibili con l’azione di autolesionismo – scrivono – simulata la sera stessa dell’omicidio” e “invece compatibili con l’aggressione”: le “graffiature e unghiature connesse al tentativo della Bovino di difendersi nel corso dell’aggressione” e le “ustioni durante l’appiccamento del fuoco” per occultare le prove del delitto. Per quanto riguarda invece I capelli rossi trovati tra le dita della vittima, secondo i giudici “è una congettura che appartenessero” ad una terza persona, ad un “aggressore verosimilmente di sesso femminile”, mentre è più probabile che le mani della vittima durante l’aggressione “restarono impigliate nei capelli che si intinsero di sostanza ematica” e quando, “già sanguinante, si ritrovò le mani dell’assassino intorno al collo, verosimilmente tentò di afferrare le mani del suo aggressore nel tentativo di difendersi”.

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