BARI – L’accordo che Fabrizio Volpe, professore di diritto civile dell’università di Bari, avrebbe stretto nel 2014 con una sua studentessa, “consisteva nella corresponsione da parte” della ragazza “della somma di denaro pattuita”, mille euro, “alternativa alla prestazione sessuale inizialmente richiestale, in cambio dell’intermediazione del Volpe per il superamento di quattro esami universitari, diritto tributario, diritto amministrativo 1 e 2 e diritto civile”.
Lo scrive il Tribunale di Bari (presidente Ambrogio Marrone) nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 6 febbraio, Volpe è stato condannato a cinque anni di reclusione per induzione indebita, riconoscendolo anche responsabile di una tentata violenza sessuale ora prescritta.
Per quanto riguarda l’induzione indebita, il Tribunale nota come “Volpe, sin dall’inizio della conversazione, fa emergere la sua volontà di ottenere un indebito vantaggio” dalla studentessa “in cambio del suo aiuto, consistente in una richiesta di natura sessuale, in quanto le chiede, a più riprese, di uscire con lui a Bari, di dormire a casa sua, di poterla incontrare di persona, di poterle pagare una vacanza, di poterla avere come sua fidanzata”.
Quanto alla tentata violenza sessuale, il Tribunale ritiene “credibile” il racconto della studentessa, in quanto nel processo è emerso “in modo inequivoco la condotta dell’imputato che cerca di avere un contatto di tipo sessuale” con la studentessa “contro la volontà di costei, che (…) gli resiste”. I giudici notano come “un ulteriore riscontro alle dichiarazioni della persona offesa è costituito dall’atteggiamento tenuto dal Volpe in altre occasioni nei confronti di altre studentesse”. Dal racconto di una testimone, infatti, emerge come “lo stesso, almeno in altra occasione si era dimostrato disponibile ad aiutare una studentessa in altri esami se essa avesse accettato di essere la sua amante”.
La natura e la “gravità dei reati contestati al prof. Volpe” hanno “arrecato un grave danno di immagine all’intera” Università di Bari, scrive ancora il Tribunale. “L’intensità del dolo – si legge – si desume dalla determinazione del Volpe nell’abusare a lungo della propria funzione pubblica nei confronti della vittima e dal suo vantarsi con terzi di tali condotte, come risulta dalle intercettazioni telefoniche, nelle quali egli si compiace del proprio potere nei confronti delle studentesse”.
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