Narcotraffico a Mesagne, blitz all’alba dei carabinieri: smantellata presunta organizzazione criminale

MESAGNE- Per oltre un’ora l’elicottero ha sorvolato la città di Mesagne, svegliata nel cuore della notte da centinaia di carabinieri della compagnia di San Vito di Normanni, squadre speciali, cinofili e sirene che l’hanno assediata: è terminata all’alba del 31 gennaio l’operazione antidroga “Fire” con 11 arresti e 30 indagati.

Potrebbe interessarti: “La donna del presunto clan: cassa, strategia e intermediazioni”

L’indagine è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce e sviluppate in piena sinergia con la Dcsa (Direzione centrale per i servizi antidroga del ministero dell’Interno).

 

La Dcsa (Direzione centrale per i servizi antidroga del ministero dell’Interno)

La Direzione centrale per i servizi antidroga (in sigla Dcsa) è l’ufficio nazionale attraverso il quale il Capo della polizia e direttore generale della pubblica sicurezza in base alle direttive ricevute dal ministro dell’interno assicura il coordinamento dei servizi di Polizia per la prevenzione e repressione del traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope. È un organo interforze, costituito in maniera paritetica da personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di Finanza.

Potrebbe interessarti: “Operazione Fire, droga e malavitosi: chiuso il bar Rossonero”

Nella fase esecutiva i carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni guidati dal capitano Antonio Corvino e dal tenente Alberto Bruno, comandante del Nor (Nucleo operativo e radiomobile) sono stati coadiuvati da personale dello Squadrone Eliportato Carabinieri “Puglia”, dal 6° Nucleo Elicotteri dei Carabinieri di Bari e dal Nucleo Cinofili.

Le misure cautelari sono state notificate nei confronti dei sottonotati indagati, i quali si devono ritenere presunti innocenti in considerazione dell’attuale fase del procedimento fino ad un definitivo accertamento della colpevolezza con sentenza irrevocabile.

I nomi degli arrestati

Gli arrestati in carcere sono: Leonardo Bacile, 50 anni di Mesagne; Roberto Carbone, 52 anni di Mesagne; Mario Chirico, 52 anni nato in Germania; Michael Sanfedino, 30 anni di Mesagne; Gianluca Zito, 45 anni di Mesagne. Gli arrestati ai domiciliari: Luigi Carbone, 24 anni di Mesagne; Luca Chirico di Mesagne, 29 anni; Luigi Di Dio, 55 anni di Mesagne; Fabio Ferruccio, 33 anni di Mesagne; Valentina Soliberto, 42 anni di Brindisi; Simone Tondo, 27 anni di Mesagne.

Leggi anche: “Gli indagati ai domiciliari davanti al gip”

All’esecuzione dei provvedimenti cautelari personali, coordinata dal Comando Compagnia di San Vito dei Normanni, hanno partecipato 70 Carabinieri unitamente ai militari del Nucleo Elicotteri CC di Bari e dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Puglia”.

Dall’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti alla detenzione di armi

I reati contestati sono l’art. 74 commi nr. 1, 2 3 e 4 del D.P.R. 309/90 “associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti pluri – aggravata”, art. 73 commi 1 e 4 del D.P.R. 309/90 “spaccio e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti”, artt. 2 e 7 L. 895/67 “detenzione illegale di armi” e artt. 81/2° c.p. e 75 comma 2 D. Lvo 159/2011 “violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale di polizia”, art. 378 c.p. capo 25 “favoreggiamento personale”.

Inizio attività d’indagine: l’attentato incendiario al maresciallo in servizio alla stazione di Latiano

Nel dettaglio, l’attività d’indagine è stata condotta dai carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile della compagnia di San Vito dei Normanni e trae origine dall’attentato incendiario compiuto nei confronti di un maresciallo dei carabinieri, all’epoca in servizio presso la stazione carabinieri di Latiano al quale nella notte del 16 agosto 2019 è stata incendiata l’autovettura privata, parcheggiata nei pressi della propria abitazione. Gli accertamenti esperiti nell’immediatezza hanno consentito di risalire ai responsabili dell’atto intimidatorio, al mandante dell’azione delittuosa, nonché al movente. È infatti emerso l’azione delittuosa sarebbe stata posta in essere quale ritorsione nei confronti del Maresciallo per aver contravvenzionato, a seguito di violazioni al codice della strada, un noto pregiudicato mesagnese contiguo ad ambienti mafiosi.

Leggi anche: “Si costituisce l’indagato Simone Tondo: era ricercato”

Le indagini, avviate nel mese di agosto 2019 fino ad aprile 2020, condotte con l’ausilio di intercettazioni audio e video e pedinamenti, oltre ad identificare gli autori del grave atto intimidatorio, hanno ipotizzato l’esistenza nel territorio di Mesagne di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti in cui risulterebbe inserito anche uno dei soggetti ritenuto responsabile dell’attentato al maresciallo dei Carabinieri.

Lo stretto legame degli arrestati con alcuni esponenti della Sacra corona unita

Le investigazioni, coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Lecce e sviluppate in piena sinergia con la Dcsa (Direzione centrale per i servizi antidroga del ministero dell’Interno), hanno permesso di ipotizzare lo stretto legame tra l’organizzazione criminale investigata e alcuni esponenti della “Sacra corona unita”, confermando l’operatività e la permanenza sul territorio della provincia di Brindisi di strutture criminali finalizzate al narcotraffico, nonché come questo fenomeno delittuoso costituisca ancora una importante fonte di guadagno per la criminalità organizzata.

L’organizzazione di stampo mafioso “Sacra Corona Unita” che nasce sul territorio mesagnese, ha sempre fatto del traffico di droga uno dei capisaldi delle proprie attività illecite finalizzandolo, oltre al rapido arricchimento, anche al controllo del territorio.

In tale contiguità con le famiglie storiche legate alla Scu mesagnese è stato individuato il sodalizio investigato e capeggiato da Roberto Carbone, pregiudicato, fratello del boss della Scu Eugenio Carbone deceduto in un agguato di mafia e cognato di L. F., personaggio di spicco della criminalità organizzata mesagnese. Figurano tra i sodali individuati Luigi Carbone, figlio del boss Eugenio e Gianluca Zito, affiliato alla Scu di Mesagne e condannato per 416 bis c.p., braccio destro di Roberto Carbone.

Il ruolo di Giovanni Donatiello, alias cinque lire

L’organizzazione in questione si ritiene essere stata in stretto contatto con il noto boss mesagnese Giovanni Donatiello, alias “cinque lire”, capo storico e socio fondatore della Sacra Corona Unita, resosi responsabile delle violazioni degli obblighi della Sorveglianza Speciale cui era sottoposto. È stata ipotizzata la frequentazione da parte del Donatiello di una delle basi operative della consorteria, localizzata in un circolo ricreativo di Mesagne, che, a seguito delle numerose perquisizioni, arresti e sequestri di stupefacente, è stato poi chiuso dal sodalizio poiché ritenuto non più sicuro per effettuare riunioni.

La droga sequestrata durante l’attività d’investigazione

I risultati investigativi, riscontrati da 7 arresti in flagranza di reato e sequestri di sostanze stupefacenti, per un traffico accertato di circa 50 chili tra marijuana, hashish e cocaina, riassunti nell’informativa dei Carabinieri e riportati nella richiesta di misura presentata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, hanno raccolto elementi indiziari nei confronti di 30 soggetti che, a vario titolo, sono risultati coinvolti nelle attività di spaccio di sostanze stupefacenti nel comune di Mesagne, 11 dei quali indagati per la presunta appartenenza ad un’associazione per delinquere armata, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del tipo marijuana e hascisc.

Il ruolo degli arrestati Gianluca Zito e Roberto Carbone

Dalla ricostruzione investigativa effettuata dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile, si evincerebbe come il sodalizio abbia gestito, attraverso i propri pusher, lo spaccio di hascisc e marijuana sul territorio mesagnese, approvvigionando anche alcune piazze di spaccio ricadenti nei comuni limitrofi di Brindisi e San Pietro Vernotico. Rifornimento che ha riguardato anche alcune piazze di spaccio individuate in Veneto ed in particolare nella provincia di Verona, luogo dove uno degli indagati, originario di Mesagne e identificato in L. A. B., avrebbe fatto trasportare ingenti quantitativi di marijuana.

La progressione investigativa ha consentito altresì di ipotizzare la struttura criminale, organizzata con una precisa divisione gerarchica dei ruoli e dotata di basi operative e centri per lo stoccaggio ed occultamento degli stupefacenti.

Roberto Carbone è accusato di essere il promotore e organizzatore del sodalizio occupandosi dell’approvvigionamento dello stupefacente, della direzione e del coordinamento di tutte le attività dell’associazione.

Gianluca Zito è accusato di essere il luogotenente di Roberto Carbone, con il compito di procacciare lo stupefacente, in particolare hashish, per l’associazione e affiancando il promotore nelle attività di gestione e di coordinamento dei sodali.

Sono stati individuati poi 9 giovani accusati di essere pusher inseriti nell’associazione e dediti allo spaccio al dettaglio nelle piazze mesagnesi.

Dalle indagini emerge che, per le attività di narcotraffico, l’associazione sarebbe dotata di due basi operative, individuate presso alcune attività ricreative e commerciali del territorio mesagnese, tra cui un noto bar già oggetto di agguati negli anni che hanno caratterizzato l’ascesa della Sacra Corona Unita a Mesagne. Presso tali strutture veniva posta in essere l’attività di spaccio al dettaglio del narcotico, impartite le direttive del capo-promotore, pianificati e conclusi ingenti cessioni di narcotico, in gergo definiti “passaggi di mano”.

L’associazione sarebbe provvista, inoltre, di più centri per lo stoccaggio e l’occultamento dello stupefacente, affidate a soggetti incensurati o ormai da anni lontani da vicende giudiziarie, tra cui un insospettabile professionista mesagnese, al fine di ridurre al minimo il rischio di eventuali perquisizioni e conseguenti sequestri da parte delle Forze di Polizia.

La consorteria, infine, è accusata di aver avuto la disponibilità di più armi da fuoco tra cui due pistole ed un fucile a pompa, occultati e prontamente disponibili, nonché di armi da sparo nella disponibilità dei sodali.

Le indagini avrebbero disvelato l’allarmante capacità del sodalizio di cooptare soggetti insospettabili ed incensurati del tessuto sociale mesagnese apparentemente estraneo alla criminalità tra cui, commercianti, camionisti e professionisti in contatto con la pubblica amministrazione.

Altro dato di rilievo è la capacità del sodalizio di allargare i propri interessi fuori dal territorio mesagnese, monopolizzando la fornitura di alcune piazze di spaccio dei Comuni di San Pietro Vernotico, Brindisi e come detto prima, del Veneto.

Nel corso delle indagini sarebbero stati riscontrati episodi di violazione della normativa antimafia, ex art. 75 comma 2 del D. Lgs 159/2011, commessi dal Sorvegliato Speciale di Pubblica Sicurezza D. G., capo di una frangia del sodalizio di stampo mafioso “Sacra Corona Unita” operante sul territorio della provincia di Brindisi, attualmente detenuto. D. G. avrebbe in più occasioni disatteso l’obbligo di associarsi a pregiudicati e di frequentare abitualmente circoli, recandosi in più occasioni presso una delle basi operative della consorteria e dimostrando, pertanto, una rinnovata e rinforzata attualità criminale che non ha subito alcuna flessione a seguito dalla lunga permanenza in carcere e dalla limitazione della libertà personale imposta con la misura di prevenzione a carico. D., impiegato presso una carrozzeria di Mesagne, avrebbe utilizzato il luogo di lavoro come base operativa per mantenere contatti con più pregiudicati del territorio condannati per gravi reati quali associazione per delinquere di stampo mafioso, stupefacenti ed altro.

Considerata la pericolosità del sodalizio per l’ordine pubblico potendo avere lo stesso la disponibilità di più armi da sparo, la Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce ha lavorato intensamente per chiudere il cerchio intorno ai soggetti.

Il gip ha condiviso pienamente la ricostruzione investigativa e l’impianto accusatorio emettendo, per i reati contestati, le misure cautelari contenitive necessarie per interrompere le condotte ritenute reato.

 

About Author