Sergio Mattarella

Foibe ed esodo: ruolo dei Presidenti della Repubblica nel percorso di riconciliazione

di Costantino Del Riccio, presidente del Comitato Consultivo della Fondazione Insigniti

La memoria storica, quando condivisa, è un pilastro fondamentale per costruire una convivenza pacifica. Essa rappresenta la volontà di far prevalere ciò che oggi ci unisce su ciò che ci ha dolorosamente divisi in un passato segnato da conflitti tra Stati e popoli. In questo contesto, l’impegno comune per celebrare la designazione di Gorizia e Nova Gorica come Capitale europea della Cultura 2025 si configura come un passo concreto verso la riconciliazione e il rafforzamento dei legami tra le nostre comunità, ponendo un nuovo accento sull’importanza della cooperazione e della comprensione reciproca.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà l’8 febbraio a Nova Gorica per l’inaugurazione di GO 2025, la prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.

Il 10 febbraio, al Quirinale, il Presidente celebrerà il Giorno del Ricordo, dedicato alla memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati.

Questi eventi evidenziano il legame tra cultura e memoria, sottolineando come la valorizzazione delle identità culturali favorisca la comprensione reciproca e la pace.

Il Giorno del Ricordo, istituito nel 2004 con una legge approvata quasi all’unanimità dal Parlamento, rappresenta un’importante occasione per riflettere su una delle pagine più dolorose della storia nazionale, spesso trascurata.

Nel 1960, lo scrittore Fulvio Tomizza, originario dell’Istria, nel suo romanzo “Materada”, evocava queste circostanze: “La guerra tutti l’abbiamo provata, e anche la Liberazione che si portò dietro altri lutti e altre miserie”. Le sue parole richiamano la complessità di una terra di confine, segnata da identità spezzate e conflitti.

Il 10 febbraio 1947, con la firma del Trattato di pace di Parigi, l’Italia si impegnò a restituire alla Jugoslavia l’Istria, Fiume, Zara e le isole del Quarnaro, segnando l’inizio di un drammatico esodo. Migliaia di italiani furono costretti ad abbandonare le loro terre, portando con sé solo i ricordi di una vita spezzata.

La regione del confine orientale ha rappresentato, nel secolo scorso, una tragica dualità. A pochi chilometri si trovano due simboli della barbarie totalitaria: la Risiera di San Sabba, un campo di concentramento nazista, e la Foiba di Basovizza, simbolo della repressione titina contro la comunità italiana.

Questa vicinanza evidenzia l’impatto devastante del fanatismo ideologico e del nazionalismo che hanno lacerato il tessuto sociale di quelle terre, lasciando ferite e memorie difficili da guarire.

Per decenni, un muro di silenzio, alimentato da imbarazzo e opportunismo politico, ha nascosto le sofferenze degli italiani, uccisi nelle foibe o costretti a fuggire.

È essenziale riconoscere che la violenza in quelle zone non può essere ridotta a una vendetta contro i fascisti, il cui dominio era stato intollerante nei confronti delle popolazioni slave.

Le vicende delle foibe colpirono indiscriminatamente funzionari, militari, sacerdoti, intellettuali e cittadini senza legami con la dittatura del ventennio.

Questa violenza non risparmiò nemmeno partigiani e antifascisti, colpevoli solo di essere italiani e di aspirare a un futuro di democrazia e libertà.

Il cammino verso la riconciliazione è stato complesso, e la storia ci impone di conoscere e ricordare le responsabilità, coltivando il rispetto per le sofferenze e evitando di alimentare rancore e divisione. Incontrarsi non era scontato e ci sono state incomprensioni. Tuttavia, queste difficoltà non hanno impedito a Italia e Slovenia di avanzare, costruendo un partenariato profondo e articolato.

Un momento significativo è stata la storica visita del Presidente Francesco Cossiga a Lubiana il 17 gennaio 1992. Fu il primo capo di Stato straniero a visitare la Slovenia indipendente, segnando un nuovo inizio con l’adozione della “Dichiarazione Congiunta sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Slovenia e la Repubblica Italiana”.

Questo documento aprì la strada al dialogo e simboleggiò la volontà condivisa di costruire una nuova Europa, fondata su democrazia, pace e unità. Slovenia e Italia si sono ispirate a un Memorandum firmato a Bruxelles nel maggio 2007, volto a valorizzare l’Alto Adriatico come polo di crescita e integrazione.

Una tappa simbolica di questo processo si verificò a Trieste, il 13 luglio 2010, durante il Concerto dell’Amicizia, alla presenza dei Presidenti di Italia, Slovenia e Croazia: Giorgio Napolitano, Danilo Türk e Ivo Josipović. In quell’occasione, firmarono una dichiarazione congiunta che esprimeva “la ferma volontà di far prevalere quel che oggi ci unisce su quel che ci ha dolorosamente diviso in un tormentato periodo storico, segnato da guerre tra Stati e popoli”.

Il 13 luglio 2020, a dieci anni dal Concerto, i Presidenti Sergio Mattarella e Borut Pahor hanno reso omaggio alla Foiba di Basovizza e al monumento ai fucilati del Tigr, quattro giovani sloveni condannati a morte nel 1930 per attività antifascista. Questi gesti rappresentano passi significativi verso la riconciliazione e la costruzione di un futuro comune basato sul rispetto reciproco e sulla memoria condivisa.

Alcuni luoghi della storia diventano simboli; tra questi c’è il “Narodni Dom” di Trieste, il cui incendio nel 1920 rappresentò una delle ferite più profonde per la minoranza slovena in Friuli Venezia Giulia. La sua restituzione nel 2020 alle associazioni slovene sancì una nuova maturità nelle relazioni tra le due nazioni.

Negli anni, Sergio Mattarella e Borut Pahor hanno promosso numerose iniziative per rafforzare il legame tra Italia e Slovenia. Tra queste spicca l’incontro del 21 ottobre 2021, dedicato a celebrare la designazione di Gorizia e Nova Gorica come Capitale europea della Cultura 2025. Questo riconoscimento accresce il senso di unione tra due città che, fino a trent’anni fa, erano separate da un filo spinato.

Gorizia e Nova Gorica sono state a lungo simbolo di una divisione profonda, spesso paragonata a quella tra Berlino Est e Berlino Ovest, con famiglie divise, ricordi frammentati e un futuro incerto, offuscato da barriere fisiche e ideologiche. Un passo significativo nel rafforzamento dei legami tra Italia e Slovenia è stato il conferimento, nell’aprile 2024, della Laurea Magistrale honoris causa dell’Università di Trieste ai Presidenti Mattarella e Pahor. Il riconoscimento ha celebrato due figure chiave nel percorso di riconciliazione che ha ridisegnato la storia della frontiera adriatica.

I Presidenti hanno scelto di superare l’egoismo nazionalistico, adottando una politica di riavvicinamento basata sulla memoria collettiva, essenziale per costruire una pace autentica tra i popoli. Mattarella e Pahor hanno elevato l’amor di patria a una dimensione europea, dimostrando che la memoria storica, quando condivisa, è fondamentale per una convivenza pacifica.

Negli ultimi trent’anni, Slovenia e Italia hanno abbattuto barriere e superato il concetto di confine, creando un’Europa come spazio d’integrazione, dove le diversità culturali sono una forza comune. L’ingresso della Slovenia nelle istituzioni europee è stato un successo straordinario, diventando un modello per i Paesi candidati all’Unione Europea.

Nella cornice europea, i popoli italiano e sloveno hanno sviluppato un crescente senso di appartenenza e obiettivi condivisi, mentre le differenze del passato si sono sbiadite, lasciando spazio a fattori che uniscono oggi i due Paesi. L’Europa rappresenta il risultato dei processi di riconciliazione tra nazioni che si trovarono su fronti opposti durante la Seconda Guerra Mondiale. L’Unione Europea funge da acceleratore per superare le divergenze storiche e costruire un futuro basato su pace, integrazione e progresso condiviso.

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