Commette il reato di diffamazione chiunque adoperi termini che risultino offensivi, in base al significato che essi vengono oggettivamente ad assumere, a prescindere dal loro spessore culturale e dalla loro base scientifica, nella comune sensibilità di un essere umano, collocata in un determinato contesto storico e in un determinato ambito sociale.
Condannato per diffamazione il direttore dalla Corte di Appello di Trieste con sentenza del 22/03/2021, perché il quotidiano titola “bluff dei menagrami di professione” l’articolo che parla di un’associazione ambientalista. E ciò benché l’inevitabile sintesi giornalistica alluda all’attività di denuncia del presidente in termini di mero «profeta di sventura» e non certo di «iettatore». Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, ha ricordato che “Il punto è che l’articolo esprime una critica legittima all’operato del sodalizio, mentre l’espressione utilizzata nel titolo si risolve in un’affermazione non correlata a un nucleo oggettivo: risulta quindi gratuita e non scriminata dal diritto di critica”. È quanto emerge dalla sentenza 24371/2022 pubblicata il 20 dicembre dalla sezione feriale penale della Cassazione.
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