“Il sacrificio di chi rischia la vita per difendere lo Stato e la legalità, non può essere banalizzato da chi giudica comodamente seduto”
“Onorare il sacrificio significa anche respingere con forza ogni lettura distorta dei fatti”. Con queste parole Carmine Caforio, segretario generale di USMIA Carabinieri, interviene all’indomani della tragica morte del brigadiere Carlo Legrottaglie, ucciso a colpi d’arma da fuoco durante un inseguimento a Francavilla Fontana (Brindisi).
Nel comunicato diffuso, l’Unione Sindacale Militari Interforze Associati rigetta fermamente le teorie secondo cui un mezzo in fuga non andrebbe inseguito, sostenendo che non basti la semplice rilevazione della targa per garantire la sicurezza collettiva.
“C’è chi preferisce fermarsi all’apparenza, chi guarda con superficialità e chi giudica comodamente seduto – si legge nel documento -. Ogni volta che un appartenente alle Forze dell’Ordine è coinvolto in un’azione critica, si sollevano domande come: ‘Perché l’ha inseguito?’ o ‘Non poteva lasciar perdere?’. Eppure, chi si pone queste domande dimentica che ogni inseguimento nasce dal dovere di proteggere la comunità”.
“Oggi è il tempo del cordoglio – continua Caforio -, ma non possiamo sottrarci a una riflessione profonda che interpella la coscienza collettiva. Ogni vita spezzata è una tragedia, ma ciò che distingue la civiltà è la capacità di riconoscere il valore del sacrificio di chi difende il bene comune.
”Se poi qualcosa va storto, le critiche si abbattono proprio su chi ha agito per dovere”. A chi, sui social e altrove, punta il dito contro le Forze dell’Ordine, Caforio ha domandato: «Cosa rimane della legge se chi è chiamato a farla rispettare smette di crederci, influenzato da millantatori del diritto e da avventurieri della scienza forense?»
“Non servono nomi, volti o storie per capire che, anche nell’ultimo giorno di servizio, Carlo ha scelto di fermarsi, di intervenire, consapevole dei rischi che ogni controllo può comportare. Non era solo un inseguimento: era un principio da difendere, un ideale da onorare, un giuramento da rispettare”, ha proseguito.
“Perché inseguire quei sospetti? Perché sfidare la morte? Perché siamo carabinieri. Avevamo il dovere di fermarli. Dietro chi fugge si nasconde spesso il male che siamo chiamati a combattere, anche a costo della vita – rivendica con fermezza Caforio -. Non si fugge da un controllo per paura della divisa, ma perché si ha qualcosa da nascondere. Chi si sottrae a chi garantisce la sicurezza pubblica non può essere trasformato in vittima solo perché ha avuto la peggio. Va condannato, perché mette a rischio vite altrui e la propria».
Il vero pericolo, ha sottolineato, è normalizzare l’illegalità e criminalizzare chi la combatte: “Non possiamo accettare che la società dimentichi il prezzo altissimo pagato da chi sceglie, ogni giorno, di restare fedele al proprio giuramento. Non possiamo permetterci di banalizzare il sacrificio. Il senso del dovere non è una variabile opinabile, è il fondamento della sicurezza di tutti”.
In chiusura, Caforio ha rivolto un commosso omaggio al collega caduto: «Carlo, se ti fossi limitato a prendere la targa di quel veicolo rubato, oggi saresti forse in pensione con la tua splendida famiglia, ma l’Italia ha bisogno di uomini come te, e come il collega che ti ha stretto nel suo ultimo abbraccio. Servitori dello Stato che credono ancora nella legge, nell’onore, nella fedeltà. Anche quando davanti c’è la morte. Onori a te, caro fratello d’armi”
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