Non fu scambio politico-mafioso né estorsione, ma semplice corruzione elettorale. È quanto sostenuto oggi, mercoledì 23 aprile, dagli avvocati Gaetano e Luca Castellaneta, difensori dell’ex consigliere regionale pugliese Giacomo Olivieri, nel corso di una lunga udienza del processo in abbreviato nato dall’inchiesta “Codice interno” su presunti intrecci tra mafia, politica e imprenditoria a Bari.
Secondo la difesa, Olivieri avrebbe favorito nel 2019 l’elezione al consiglio comunale della moglie, Maria Carmen Lorusso, ma senza consapevolezza di legami mafiosi tra alcuni collaboratori della campagna elettorale, tra cui Tommaso Lovreglio, nipote del boss ‘Savinuccio’ Parisi, e dipendente dell’Amtab, azienda municipalizzata già sotto amministrazione giudiziaria.
Olivieri, durante l’interrogatorio del 12 febbraio scorso, aveva ammesso di aver elargito denaro, buoni pasto e carburante in cambio di voti, ma ha negato di conoscere le parentele mafiose dei soggetti coinvolti. Per la procura, invece, l’ex consigliere avrebbe pagato esponenti dei clan Parisi, Montani e Strisciuglio.
Per quanto riguarda l’accusa di estorsione ai danni dell’ex presidente della Banca Popolare di Bari, la difesa ha parlato di una “compensazione concordata” per il debito della Fondazione “Maria Rossi”, riferibile a Olivieri, escludendo pressioni indebite.
La Dda ha chiesto per lui una condanna a 10 anni di reclusione. Il processo riprenderà il 2 maggio. In totale, sono 108 gli imputati nel filone abbreviato.
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