FRANCAVILLA FONTANA – In caso di aggressione da parte di cani randagi, l’onere della prova è in carico all’azienda sanitaria locale competente. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione accogliendo il ricorso proposto dall’avvocato Antonio Andrisano del foro di Brindisi riguardo ad una vicenda relativa, per l’appunto, alla responsabilità di aziende sanitarie e comuni a seguito delle aggressioni subite dai cittadini ad opera di animali randagi. Il Supremo Collegio ha infatti cassato la decisione del tribunale di Taranto che, confermando la sentenza del Giudice di Pace, aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta.
L’aggressione del 2015
Tutto parte dall’aggressione subita da parte di due cani randagi nella primavera del 2015 tra le campagne di Grottaglie da un uomo di Francavilla Fontana. La Corte, accogliendo i motivi di impugnazione, ha premesso che la responsabilità per i danni causati da animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 del Codice civile e non dalle regole di cui all’art. 2052 del Codice civile. Una premessa importante, se è vero che il Supremo Collegio ha tratto la conseguenza che, nella fattispecie di illecito aquiliano, l’individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo rileva non sul piano della colpa, ma dell’imputazione della responsabilità omissiva sul piano causale. In base alla normativa regionale pugliese l’obbligo giuridico del recupero dei cani compete ai servizi veterinari delle Asl, mentre i comuni hanno l’obbligo di costruzione o risanamento dei canili sanitari. Una volta individuato il soggetto titolare dell’obbligo giuridico del recupero la pubblica responsabile dei danni riconducibili all’omissione dei comportamenti dovuti in quanto l’omissione di una condotta rileva, proprio, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso.
La Corte, accogliendo le doglianze di cui al ricorso, ha così rilevato che, l’onere del danneggiato di provare, anche per presunzioni, l’esistenza di segnalazioni o richieste di intervento, più volte valorizzato dalla stessa Corte, si pone però “a valle” rispetto a quello del soggetto (Asl) tenuto per legge alla predisposizione di un servizio di recupero di cani randagi. La Suprema Corte ha anche evidenziato che il servizio di recupero dei cani randagi grava sulle Asl e la domanda è fondata su un fatto che costituisce concretizzazione del rischio. Insomma, spettava all’Asl dedurre e dimostrare di aver dato compiuta osservanza e, solo una volta che questa prova fosse stata data, spettava all’attore dedurre e dimostrare che, per esempio, il servizio era improntato solo sulla carta.
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