Un nuovo disegno di legge sulla caccia, presentato al Senato dai partiti di maggioranza, ha suscitato un’ondata di proteste da parte di 46 sigle appartenenti al mondo ambientalista, animalista, scientifico e del comparto economico sostenibile.
Il provvedimento, che prevede l’estensione della stagione venatoria anche durante la migrazione, la possibilità di cacciare in aree demaniali (fatta eccezione per quelle marittime), il rilancio dei richiami vivi e una generale riduzione del peso dei pareri scientifici di Ispra, è stato definito un “attacco brutale alla natura”.
Nel mirino delle associazioni anche il ministro Francesco Lollobrigida, che nelle scorse settimane aveva rivendicato la paternità delle misure ora inglobate nel ddl, ma che – denunciano i firmatari – ha rifiutato il confronto, nonostante le richieste formali ricevute. Il testo del disegno di legge ricalcherebbe quasi interamente la bozza ministeriale precedentemente divulgata, con minime modifiche considerate “del tutto insufficienti a mitigarne la gravità”.
Tra le criticità segnalate, spicca la possibilità di cacciare nelle aree demaniali non marittime: secondo le associazioni, “senza la mobilitazione civica, si sarebbe potuto arrivare persino a sparare in spiaggia”. Il ddl, secondo i critici, stravolge il principio costituzionale e comunitario che pone la tutela della natura al di sopra di altri interessi, ribaltando la gerarchia a favore del comparto venatorio.
“Questa legge legittima una visione regressiva della fauna e del territorio, rendendo i cittadini meno sicuri e compromettendo il diritto a vivere in armonia con l’ambiente”, si legge nel comunicato congiunto.
Le associazioni chiedono ora un incontro con tutti i gruppi parlamentari per illustrare i rischi legati all’approvazione del provvedimento. “Non si tratta solo di caccia – concludono – ma di quale idea di Paese vogliamo costruire: uno fondato sulla convivenza e sulla sostenibilità, oppure uno ostaggio degli interessi di pochi”.
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